La Parola di Dio nella Liturgia
Il Signore Gesù ha sempre voluto che giunga a tutti gli uomini la sua Parola di salvezza, di perdono, di consolazione e di speranza. In molti casi Dio si serve degli uomini perché la sua Parola venga diffusa, ricevuta e di nuovo consegnata ad altri. Da qui viene per ogni cristiano il compito di trasmettere la Parola di Dio divenendone strumento e servitore.
Il luogo più favorevole dove ricevere la parola di Dio è la comunità radunata in assemblea liturgica per l’ascolto, la risposta e la preghiera.
La Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica costituiscono il doppio vertice della celebrazione della Messa, le due “mense”dell’unico convito, dell’unico atto di culto, che sale gradito al Padre, per Cristo nello Spirito.
Nutrita spiritualmente all’una e all’altra mensa, la Chiesa da una parte si arricchisce nella dottrina e dall’altra si rafforza nella santità.
Nella Parola di Dio si annuncia la divina alleanza, mentre nell’Eucaristia si ripropone l’alleanza stessa, nuova ed eterna. (OLM 10).
La Liturgia della Parola è parte integrante e costitutiva della celebrazione.
La Parola di Dio, proclamata nell’assemblea e commentata nell’omelia, è – al pari dell’Eucaristia – segno della presenza di Cristo, il Verbo unico del Padre, che rivela e attua con potenza la salvezza dell’uomo; per cui, come afferma il Concilio: massima è l’importanza della Sacra Scrittura nella celebrazione liturgica. Da essa, infatti, si attingono le letture da spiegare poi nell’Omelia e i Salmi da cantare;
del suo afflato e del suo spirito sono permeate le preci, le orazioni, e i carmi liturgici; da essa infine prendono significato le azioni e i gesti liturgici (SC24; cfr. OLM 1.4).
La proclamazione della Parola di Dio
L’azione di far udire la parola di Dio è detta “proclamazione della Parola”.
Per questo servizio ci sono dei servitori chiamati a dare voce, respiro, corpo e volto alla parola proclamata nella liturgia in forma comunitaria, con lettura chiara e nitida, competente ed autorevole nel tono della voce e nello stile, nel comportamento e nella tecnica
Non è solo questione di leggere bene e distintamente, si tratta anche di dare testimonianza dei fatti e delle parole annunciate, di impegnarsi per quanto viene affermato, di favorire l’ascolto da parte di coloro che sono chiamati ad accogliere quanto hanno udito.
Il concetto di proclamazione non può essere quindi confuso né identificato con il concetto di lettura. Proclamare non equivale solo a ben leggere, ma a rendere pubblico, acclamare, confessare e rivelare. Per questo colui che proclama deve impegnarsi per farsi udire da tutti, usando ogni accorgimento personale e tecnico. Proclamando si acclama e si venera la Parola di Dio, se ne dichiara pubblicamente il valore e l’importanza, si confessa la propria fede in colui da cui si è inviati; di conseguenza la proclamazione agisce sugli uditori perché entrino nell’atteggiamento di fede, con la coscienza di trovarsi di fronte all’autore del messaggio.
Su questo argomento i vescovi italiani affermano:
“Poiché il dialogo liturgico di Dio con il suo popolo non sfugge alle condizioni dell’umana comunicazione, sono utili tutti gli accorgimenti che favoriscono l’ascolto e la comprensione dei testi letti (per es. una sufficiente amplificazione della voce, una lettura chiara e intelligente, ecc.)” (RLI 11).
Ultimo aggiornamento ( Lunedì 21 Giugno 2010 10:38 )