1.La celebrazione della Messa è strutturata in cinque grandi parti:

  • Riti d’introduzione
  • Liturgia della Parola
  • Riti d’offertorio
  • Liturgia eucaristica
  • Riti di Comunione

2. Struttura della liturgia della Parola nella Messa festiva con i diversi ruoli

- Prima lettura (il “profeta”, cioè dall’Antico Testamento o, nel tempo pasquale, dagli Atti degli Apostoli): un lettore;
- Salmo responsoriale:
salmista + assemblea;
- Seconda lettura
(“l’apostolo”, cioè dalle lettere del Nuovo Testamento o dall’Apocalisse): un altro lettore;
- Sequenza:
solista o lettore;
- Acclamazione al Vangelo:
assemblea (+ solista); 
- Vangelo: diacono o celebrante;
- Omelia:
presidente o altro celebrante o diacono; 
- Professione di fede:
assemblea;
- Preghiera dei fedeli:
presidente + diacono (o altri) + assemblea.
La liturgia della Parola è, quindi, estremamente varia; essa richiede sei atteggiamenti diversi: lettura, canto, parola, professione di fede, preghiera, silenzio. L’equilibrio di questi atteggiamenti è indispensabile perché la liturgia della Parola venga trasmessa e recepita.
La liturgia della Parola deve sempre essere in stretto rapporto con la liturgia eucaristica: non sono due parti separate, anzi la liturgia eucaristica deve sempre agganciarsi, in tutti i modi possibili, alla liturgia della Parola (cf SC 56). A questo proposito l’introduzione al messale è molto chiara: Cristo è realmente presente tanto nella sua Parola, quanto sotto le specie eucaristiche; inoltre è realmente presente nell’assemblea dei fedeli e nella persona del sacerdote che presiede la celebrazione (cf SC, 7; PNMR 7).

3. Le letture

La riforma liturgica ha istituito per la Messa festiva tre letture perché i diversi passi della Scrittura s’illuminino a vicenda e perché è impossibile capire il Nuovo Testamento senza conoscere l’Antico.
E’ molto importante che vi siano lettori diversi per ogni lettura: la varietà dei lettori, i movimenti che essa provoca nel presbiterio, l’eventuale alternarsi di una voce maschile e di una femminile sono elementi che servono a rompere la monotonia e contribuiscono a suscitare l’attenzione nell’assemblea.
Chi sono i lettori? Il miglior sistema è quello di permettere al maggior numero di fedeli di fungere da lettori, a condizione però che non si faccia leggere qualcuno senza essersi assicurati che ne sia capace e che sia adeguatamente preparato. I documenti del dopo Concilio in tema di liturgia insistono ripetutamente sulla necessità che i lettori siano “veramente idonei e preparati con impegno” (cf PNMR 66) attraverso un cammino di formazione “biblica, liturgica e tecnica” (cf OLM 55). Lo scopo di tale formazione non è certo quello di creare professionisti della lettura, ma di far capire anzitutto che l’azione liturgica del leggere la Parola di Dio ha un’importanza fondamentale nell’economia della celebrazione, poiché è soprattutto da come vengono lette le letture che dipende se la Parola di Dio giunge al cuore dei fedeli oppure no: ciò è fondamentale affinché la Parola agisca e sia efficace. E inutile aver ridato alla Parola di Dio un posto importante nella liturgia se poi non c’impegniamo ad ottenere una buona lettura.
Il lettore deve anzitutto investirsi della sua funzione, deve prendere coscienza che ]’impegno di leggere la Parola di Dio non può esaurirsi ad un semplice atto da compiersi, ma deve diventare un vero e proprio ministero, coinvolgente l’intera vita di chi lo compie. Il lettore, pertanto, non può occuparsi della Parola di Dio solo quando si accinge a leggerla, ma deve “porsi in ascolto” ben prima, deve fare (come ogni cristiano dovrebbe) della Parola di Dio il nutrimento della propria vita. Il lettore è l’altoparlante di Dio, il suo inviato affinché la sua Parola, diventata Scrittura, ridiventi Parola oggi; è il servitore dell’Alleanza tra Dio ed il suo popolo, che si manifesta nel continuo dialogo testimoniato dalla Scrittura; è colui che fa sì che Dio parli al suo popolo, riunito per ascoltarlo.


4. La sequenza

Un canto lirico (anche se spesso viene detto) che può essere eseguito facoltativamente in diverse occasioni ed è obbligatorio a Pasqua e a Pentecoste; s’inserisce fra la seconda lettura e l’acclamazione al Vangelo.

5. L’acclamazione al Vangelo

E’ un’acclamazione, un grido, un canto di gioia. Normalmente si usa l’alleluia. (alleluia è un termine di origine ebraica che significa “lodate Dio”). In Quaresima, invece, si canta un’altra acclamazione.
Non deve mai essere recitato! Non ha nessun senso limitarsi a  dirlo, perché per sua natura è un’acclamazione (cf PNMR 39). Al più si può dire il versetto inframmezzato al ritornello cantato (però solo quando non vi sono strofe cantate).
Essendo un’acclamazione, non dev’essere troppo lunga, anzi, dev’essere breve, intensa (non un canto con quattro o cinque strofe!).
A volte (ad esempio in occasioni particolarmente solenni) è opportuno cantare l’acclamazione (solo il ritornello, però) anche dopo il Vangelo come per inquadrare la lettura del Vangelo al fine di sottolinearne l’importanza.

6. Il Vangelo

E’ il momento culminante della liturgia della Parola (ma non l’unico importante!), poiché è Cristo stesso che ci parla. Spetta al diacono o ad un sacerdote non celebrante o, in assenza di entrambi, al sacerdote celebrante.

7. L’omelia

L’omelia ha come fonte la Parola di Dio e come mèta la vita, cioè ha come scopo principale l’attualizzazione della Parola di Dio proclamata nelle letture. Rappresenta pertanto l’anello di congiunzione tra liturgia della Parola e liturgia eucaristica. L’omelia può essere preparata comunitariamente dai sacerdoti assieme agli animatori liturgici (lettori, commentatori, cantori, ecc.) e ai fedeli che lo desiderano, ad esempio durante le riunioni settimanali del gruppo liturgico. E’ necessario, inoltre, che vi sia una stretta correlazione tra omelia, introduzione, monizioni, ecc… L’importante è che tutti questi interventi svolgano pochi temi e concetti, ma in modo chiaro e unico, non dispersivamente.

8. La professione di fede

Si dice nelle domeniche e nelle solennità. E’ detta anche Credo (dalla prima parola della forma più usata) o Simbolo, in quanto è il simbolo, cioè il segno di riconoscimento, del cristiano. E’ posta al temine della liturgia della Parola, poiché costituisce la risposta della fede dell’assemblea alla Parola di Dio proclamata nelle letture e commentata nell’omelia.
Si suddivide in quattro parti: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, la Chiesa. E’ necessario curarne l’esecuzione per evitare che diventi un “minestrone”, cioè una pura formula rituale detta ad una velocità eccessiva e con poca attenzione.
Può essere utile ed interessante variarne a volte il modo di esecuzione o anche il testo. Ad esempio:
può essere recitato dall’assemblea, con alternanza di due cori;
-          può essere recitato da un solista, con l’alternanza di un ritornello cantato dall’assemblea;
-          può essere usata la forma, più breve, del "Simbolo apostolico”;
-          può essere usata la forma battesimale (quella che si usa nella Veglia di Pasqua e nei battesimi).

9.La preghiera dei fedeli

E’ detta anche preghiera universale in quanto in essa si prega per l’intera umanità.
Le intenzioni, che possono essere liberamente formulate, devono essere semplici, brevi, veramente universali (salvo rari casi realmente importanti per la comunità).
Se si vuole che più persone propongano le intenzioni vi dovrebbe essere un'effettiva libertà ed autenticità.
La risposta dell'assemblea è bene che ogni tanto sia variata (evitare di usare sempre “Ascoltaci, o Signore”) e, almeno nelle feste importanti, sarebbe bene che fosse cantata.

10.Il silenzio

Sono troppo pochi i momenti di silenzio durante la Messa! Ve ne dovrebbero essere almeno dopo l'omelia e dopo la Comunione, ma, possibilmente, anche durante l'atto penitenziale, dopo ogni lettura, ecc. (cf PNMR 23). Altrimenti le nostre celebrazioni rischiano di diventare un fiume di parole che si riversano sull'assemblea, ma che difficilmente rimangono, perché non hanno tempo di fare presa.

Ultimo aggiornamento ( Lunedì 21 Giugno 2010 10:38 )