Il perdono nella nostra Coppia
GIULIO E SILVANA:
IL PERDONO NELLA NOSTRA COPPIA
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Sono Giulio, sposato con Silvana. abbiamo due figli. Facciamo parte di una comunità cattolica attiva in attività di evangelizzazione a supporto delle parrocchie. Un ritratto di famiglia confortante e positivo che viene. in realtà q da un passato che mai avrebbe lasciato intravedere questo sviluppo.
Ci siamo conosciuti nel 1982. Una attrazione reciproca ci ha portati a frequentarci fino ad arrivare a convivere per circa un anno. Il 12/12/83 ci siamo sposati in comune. Dio era lontano dal nostro orizzonte. Silvana viveva gli epigoni di un feroce femminismo sessantottino. La mia famiglia da parte paterna viveva un cattolicesimo lontano da ogni minimo impegno; da parte materna, tutti protestanti, valdesi, critici verso la Chiesa. I genitori di Silvana persone di grande dirittura morale ma con una vita di fede senza slanci. Sposarci in chiesa ci sembrava un controsenso. E’ iniziata una vita di coppia tutto sommato tranquilla. C’erano, è vero, aspetti dei nostri caratteri che non aiutavano molto il dialogo di coppia: orgoglio, insicurezze, vanità, il proprio “ Io “ difeso con i denti.
Passano un po’ di anni e le passioni iniziali. Il carattere non cambia, inizia un lento allontanamento reciproco. Senza gesti eclatanti o aperte ostilità si è venuto a creare un reciproco deficit di amore. Alla ricerca di qualcosa di più mi sono trovato ad iniziare un rapporto extraconiugale. Silvana nel frattempo era rimasta incinta del primo figlio. Ho iniziato una vita infernale: la dissociazione tra i due ambiti affettivi era tale che vivevo una realtà assurda fatta di finzioni e paure. Pur rendendomi conto della assurdità e immoralità della situazione, non riuscivo (o non volevo) rinunciare alla mia vita. Apparentemente Silvana non sapeva; qualche sospetto iniziale poi fugato. Dopo sei anni è rimasta nuovamente incinta: gravidanza voluta: lei voleva un altro figlio, io volevo in qualche modo compensare l’amore che le negavo. Non poteva andare avanti così.
Mi trovavo in Messico per lavoro. Una notte Silvana mi telefona in albergo: aveva scoperto casualmente la mia relazione. A migliaia di chilometri di distanza ho sperimentato una tale disperazione, un tale senso di fallimento e impotenza che mi sembrava di impazzire. La sua reazione era stata pesante e netta: al mio rientro in Italia ci saremmo separati: nel frattempo avrebbe abortito. Un quadro di morte. Ricordo ancora quella tremenda notte. Non sapevo cosa fare. Mi sono trovato in ginocchio a pregare Dio senza neppure sapere cosa chiedere. Il giorno dopo ero insieme a centinaia di messicani nella Basilica della Madonna di Guadalupe. Io che avevo sempre guardato con irrisione i devoti della Madonna.
Ma qualcosa si era messo in moto sopra le nostre teste. Silvana sospende per il momento ogni decisione affrettata; torno in Italia. Anziché lasciarci sbattendo la porta, nasce in noi la voglia di capire che cosa e perché è successo. Inizia un periodo drammatico fatto di conversazioni notturne e lacrime. Si ripassa la vita passata e nasce lentamente un sentimento nuovo: un inarrestabile processo di perdono. Abbiamo deciso di darci una nuova possibilità di vita, fatta di un dialogo che prima non c’era. Un nuovo quotidiano ci si apriva. Ma Dio non c’era ancora. Fatta quella preghiera in Messico non ci avevo più pensato. Ma Lui ci aspettava.
E’ successo tutto nella Domenica della Palme del ’93: siamo andati contro voglia per far piacere a una amica devota e un po’ noiosa a messa. Il tempo era tremendo, pioggia torrenziale e fredda: ma appena varcata la soglia un caldo senso di accoglienza, Silvana che inizia a piangere: non avrebbe smesso per tutta la celebrazione. Lacrime di gioia: si sentiva finalmente a casa, così mi avrebbe detto poi. Io, frastornato, non sapevo cosa pensare. Tornati a casa in silenzio non ne abbiamo più parlato. Ma la domenica successiva, Pasqua, siamo tornati in quella chiesa. Iniziava una vita nuova. La Provvidenza ci aveva fatto incontrare un padre domenicano il cui convento era vicino all’ufficio di mia moglie. Il suo accompagnamento ci portava a sposarci finalmente in Chiesa. Era iniziata la vera vita nuova. Al grande perdono del tradimento, quello più eclatante, sono arrivati tanti momenti di perdono.
Pian piano, giorno dopo giorno, tanti aspetti della nostra relazione si sanavano. Essenziale è stata la vita di fede, l’accompagnamento del padre spirituale. Oltre al perdono tra di noi era necessario perdonare noi stessi; non solo, il perdono doveva estendersi alla nostra famiglia: una sera ci siamo trovati a pregare noi e il nostro padre spirituale che intona un canto ispirato a Isaia 43,1: “non temere perché io ti ho salvato: ti ho chiamato per nome: tu sei mio”. Non poteva sapere che quelle parole erano incise sulla tomba di mio padre: un padre violento che avevo perso a 15 anni, una padre rimosso dalla memoria mia e di mia madre tanto dura era stata la vita con lui: ma quella sera ho capito: Dio si proponeva come padre e contemporaneamente mi chiedeva di perdonare il mio padre terreno, vittima a sua volta di una catena di male. Da allora il perdono è parte integrante della nostra vita personale e di famiglia. Ci chiediamo perdono, noi coniugi con i figli e i figli con noi e tra loro quando la pazienza ci lascia. Si cerca il perdono verso chi ci complica la vita, le occasioni, si sa, non mancano; ci si perdona, sforzandoci di accettare i propri limiti. Tanto ci sarebbe molto da dire, ma concludo con una curiosità: il nostro matrimonio civile era stato celebrato un 12 dicembre: giorno di grande festa in Messico: è l’anniversario della Madonna di Guadalupe.
Giulio e Silvana
Ultimo aggiornamento ( Domenica 16 Agosto 2009 04:18 )