«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”» (Salmo 122)

Carissimi fratelli e sorelle,
è Pasqua!
È la Pasqua del Signore: è liturgicamente il tempo di Pasqua.
È la Pasqua che ogni Liturgia Eucaristica attualizza e rende efficace.
È la Pasqua di Monsignor Andrea Cassone, amato Padre e Pastore di questa Diocesi, che oggi, proprio nel tempo di Pasqua, tutti insieme accompagniamo alla Casa del Signore.

Saluto e ringrazio anzitutto con fraterno affetto gli arcivescovi e i vescovi della Calabria, stretti accanto ad un confratello che è stato presenza mite e pacifica, attenta alla realtà e alle persone, e che ha conservato con loro, fino alla fine, la comunione fraterna di preghiera e l’interesse alle vicende della nostra Chiesa calabrese.
Saluto i sacerdoti concelebranti, i religiosi e le persone consacrate; in particolare, consentitemi di salutare commosso tutti i presbiteri della nostra Diocesi di Rossano-Cariati che oggi vivono un momento di profonda sofferenza ma anche di gratitudine, a motivo del posto importante che sapevano di avere nel cuore di colui che è stato per anni loro padre. «Ricordo – e ricorderò sempre con immutato affetto – i sacerdoti rossanesi», scrive con forza nel testamento spirituale il vescovo Andrea e «a loro raccomando di vivere gioiosamente il sacerdozio, sempre in comunione con l’arcivescovo e fra di loro. Carissimi sacerdoti – aggiunge -, siate santi; la nostra gente ha bisogno di preti santi. Non dimenticate mai che un prete santo resta sempre il migliore educatore del suo popolo».
Saluto con gratitudine le autorità civili e militari presenti: i sindaci dei vari paesi della diocesi e tutte le altre autorità che, con la loro vicinanza, esprimono la comunione della comunità civile con la comunità ecclesiale, ma assieme portano la gratitudine e l’affetto all’uomo che con tutti sapeva comunicare e intessere relazioni improntate alla semplicità, all’accoglienza, alla pazienza.
Saluto e ringrazio la famiglia di monsignor Cassone: la sorella, i nipoti, i pronipoti, i parenti tutti, che avvertono il grande dolore del distacco, ma sperimentano la pace di essere stati capaci di non far mancare a lui un affetto concreto, grato, profondo; di averlo saputo sostenere nella malattia e nel bisogno, rispettando con delicatezza il suo essere del Signore.
Saluto infine tutti i presenti provenienti da vari luoghi: dalla diocesi di Reggio con il suo vescovo Mons. Vittorio Mondello, alla quale sento doveroso rivolgere un sentito grazie perché ha accompagnato gli ultimi tempi della vita terrena di monsignor Cassone che, alla fine, si è consumata e spenta nella casa della Carità di Scilla, il cui personale lo ha seguito con cura e delicatezza; ma soprattutto da questa diocesi di Rossano-Cariati. Saluto e abbraccio tutti voi, carissimi fratelli e figli, che siete qui oggi a ricambiare l’affetto e la dedizione di un pastore che ha saputo dare la sua vita per le sue pecore: nel suo testamento spirituale, il primo pensiero è per questa Chiesa: «ricordo – e ricorderò sempre – l’amatissima arcidiocesi di Rossano per la quale sono stato consacrato». Egli è stato vescovo solo di questa Chiesa e per essa ha riservato le sue attenzioni, ha consacrato la sua preghiera, ha coltivato i suoi ricordi, quelli più teneri come quelli più drammatici. Per essa, come uno sposo fedele, ha saputo donare la vita fino alla fine, in silenzio ma con autentica oblazione: come dimenticare quanto io stesso ho raccolto dalla confidenza del suo cuore negli ultimi tempi, quando mi disse che offriva tutte le sue sofferenze per la Visita Pastorale che da poco qui abbiamo iniziato? E come non credere che il Signore abbia voluto gradire la sua offerta, accogliendolo nella sua Casa proprio nell’Anno Sacerdotale che per la nostra diocesi è anche l’Anno della Chiesa?

«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”».
Il Salmo responsoriale, che è anche il Salmo riportato da monsignor Cassone nel suo testamento spirituale, ci provoca a chiedere a Dio di illuminare le profonde ragioni di quella gioia che respiriamo in questa Eucaristia e che, in un certo senso, ci consente di interpretare la vita e la morte.
È la gioia della Pasqua! Sì, è Pasqua per la Chiesa, per la Chiesa calabrese, per la Chiesa di Rossano che, dalla vita e dalla morte di monsignor Cassone, sa di essere chiamata a ricevere la linfa di quella nuova vita che solo il Risorto può donare.
«Non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate… Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 4-5). Sentiamo rivolte a noi, in questa Celebrazione, le parole dell’Apocalisse che non solo ci consegnano la consolazione di un Dio di amore e misericordia, il quale tergerà ogni lacrima (Ap 21,4) dagli occhi di ogni creatura umana, ma che anche ci affidano il messaggio di quella gioiosa novità che la Pasqua porta: è la morte, offerta, che fa nuova la vita!
Cristo compie questo miracolo con la sua croce; ma anche chi, come buon pastore, è chiamato a conformarsi a Cristo, partecipa di questo miracolo. La morte di un vescovo, come la sua vita, ha qualcosa di particolare; ed è qualcosa che proviene proprio dal fatto che questa vita – e dunque questa morte – non gli appartiene, ma appartiene a Cristo e, in Lui, appartiene alla Chiesa che egli ama come sua sposa: nella visione di Giovanni c’è la nuova Gerusalemme, pronta come «una sposa per il suo sposo» (Ap 21,2); e la nuova Gerusalemme, non lo dimentichiamo, è icona della Chiesa.
Sì! Come il Signore sa di poter disporre della vita di un pastore per la vita del suo gregge, della vita di un vescovo per la vita della sua Chiesa, così sa di poter disporre della sua morte!
Ma è bello che la visione dell’Apocalisse parli anche di «un nuovo cielo e di una nuova terra» (Ap 21,1): è tutta la creazione che è rinnovata. E non si tratta qui, come commenta von Balthasar, di una «seconda creazione» ma della «trasformazione operata da Dio della sua sola ed unica creazione» la quale «preme interiormente verso il compimento»[1]. È uno sguardo universale, è uno sguardo sull’infinito quello che la Parola di Dio ci offre e quello che l’evento di questa morte oggi ci richiama: è lo sguardo sulla vita eterna. «Chi crede nel Figlio ha la vita eterna» (Gv 3,36), ci ha ricordato Giovanni nel Vangelo: e queste sue parole, come quelle dell’Apocalisse, non si riferiscono esclusivamente al compimento futuro, ma ad una pienezza che già ora siamo chiamati a vivere e a costruire. Del resto, dice ancora von Balthasar, «nell’eterno ogni avvio è sempre “adesso”»; e «come risurrezione significa un’immensa svolta, dal vuoto alla pienezza, unica e adesso: così la vita eterna»[2].
Ecco, allora, tutta la misteriosa fecondità che siamo chiamati a contemplare e a credere in questo momento. Ecco la peculiare gioia che siamo chiamati a celebrare oggi con l’amatissimo vescovo Andrea che ha seminato pienezza di vita nella sua esistenza e nel suo ministero, nella sua sofferenza e nel suo ultimo respiro. La sua morte è vita eterna, “compimento” di una vita totalmente offerta per la Chiesa tutta, ancor più per la sua amata Chiesa di Rossano; e oggi la sua Chiesa lo accoglie e lo vuole custodire in questa Cattedrale.
Contrariamente a quanto aveva inizialmente dichiarato nel testamento spirituale, celebrando qualche giorno fa l’Eucaristia con me e don Pino, suo amatissimo segretario e suo sostegno affettuoso per tanti anni, egli, su mia esplicita richiesta, ha manifestato il desiderio di essere sepolto qui. Ho voluto fortemente incoraggiarlo in questo, ritenendo che fosse un altro forte segno del suo grande amore per questa Chiesa sposa e che fosse un grande dono, per questa Chiesa, accoglierlo tra le sue braccia e dare a lui una sepoltura degna di un pastore. Il luogo che abbiamo provvisoriamente preparato sarà ulteriormente abbellito e il vescovo Andrea rimarrà così più vicino ai suoi fedeli, esposto alla loro venerazione e alla loro preghiera; anche questo è per noi motivo di gioia.

«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”».
La gioia è davvero stata testimoniata dalla vita di Monsignor Cassone.
È una gioia che mi piace ricordare stampata sul suo volto sorridente e accogliente: un ricordo vivo già dagli anni in cui, giovane seminarista e sacerdote, io per primo lo consideravo un punto di riferimento e amavo cercare la compagnia di don Andrea e ascoltare il suo consiglio, sentendomi avvolto da un affetto paterno che sapeva silenziosamente e amorevolmente seguire il mio cammino umano e vocazionale.
È la gioia umile e fiduciosa che gli ha permesso di affrontare, già da presbitero della diocesi di Reggio, importanti responsabilità: i suoi incarichi nel tribunale ecclesiastico, inizialmente come attuario e infine come presidente; il suo ministero di parroco e di vicario generale.
È una gioia maturata in una fede ferma e sapiente negli anni in cui, da pastore di questa diocesi, ha affrontato i compiti belli e impegnativi e le difficoltà talora gravose, sforzandosi di risolvere i problemi – come egli stesso serenamente diceva – «ad uno ad uno»: cercando il dialogo, quando esso serviva per sciogliere le situazioni contorte, e preferendo il silenzio, quando la parola poteva diventare conflitto.
È la gioia che, sempre più, è cresciuta nella consapevolezza che il cammino della vita va verso l’incontro con il Signore: quella gioia cristiana che assume le sfumature più impensate e che richiede continuamente al nostro cuore la grazia di accogliere la volontà di Dio e preparasi a farlo.

«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”. Chiedo al Signore che mi metta accanto qualche persona che mi annunci che la mia ora è arrivata perché possa dispormi meglio all’incontro col Padre», leggiamo nel testamento spirituale del vescovo Andrea; ed è una richiesta, questa, che segue ad un’altra: «Dinanzi ad una morte improvvisa spesso si dice: meglio così, non ha sofferto. Ma io, anche quando ero giovane, ho chiesto al Signore di essere liberato “a subitanea et improvvisa morte”. Questa preghiera – egli scrive – continuerò ripeterla».
Forse ci è più facile, alla luce di queste parole, cogliere il senso profondo della gioia anche nella sofferenza fisica che lo ha accompagnato e consumato negli ultimi tempi; si tratta di un qualcosa che, in un certo senso, egli aveva chiesto al Signore e che il Signore ha voluto esaudire.
«Nel contesto dell’ultima cena Gesù aveva detto: “Dove vado io voi non potete venire”. Disse Pietro: “Signore, dove vai?”. Gli rispose Gesù: “Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi” (Gv 13, 33.36)». Rifletteva così l’allora cardinal Ratzinger durante l’omelia della Messa per le esequie di Giovanni Paolo II e specificava: «Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione – entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire. […]. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo. […]. E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell’amore che va fino alla fine (cf Gv 13, 1)»[3].
Chi, come apostolo, dona la propria vita a Cristo sa quanto la sofferenza, vissuta unitamente alla Sua, sia gioia feconda di comunione con Lui e di evangelizzazione del popolo. Chi dona la propria vita a Cristo ha sete, con Lui e come Lui, di un amore che desidera crescere e arrivare «fino alla fine»; a questa sete, il Signore risponde, donando «gratuitamente acqua della fonte della vita» (Ap 21,6).
Gratuitamente: ecco come il Signore dona, ecco come il Signore si dona. Ecco come si dona colui che il Signore ha consacrato suo pastore. Gratuitamente: nella gioia di chi non attende nulla in cambio e non pone condizioni a Dio. È questa gratuità che trasforma in fonte zampillante di vita tutto quanto la misericordiosa iniziativa divina rende possibile nella nostra esistenza.
«Signore, come ti vedrò in quel giorno che tu solo conosci? Come sarò felice in te? Poco importa saperlo ora. A me basta la certezza che in quel giorno troveranno compimento tutti i miei desideri»: le parole conclusive del testamento spirituale del vescovo Andrea riflettono il profondo senso di gratuità al quale il suo donarsi incondizionato era arrivato. Una gratuità che è la beatitudine di «coloro che, pur non avendo visto, crederanno» (Gv 20,29). Una gratuità che è la libertà intima e inesprimibile di chi ha compreso che è Lui, il Signore, che guida la storia umana, la vita e la morte.
«Io sono l’Alfa e l’Omèga, il Principio e la Fine» (Ap 21,6). Il Libro dell’Apocalisse è intessuto della dolce sicurezza del grande rivelarsi e donarsi di Dio all’uomo: Lui, il Signore, è davvero il principio e il compimento, la spiegazione della nostra origine e la meta a cui tendono le attese.
È Lui che il nostro padre e fratello Andrea ha trovato al termine di questo viaggio terreno. È il Suo il Volto che egli iniziava già a contemplare nelle sofferenze dell’agonia, proprio mentre noi, Chiesa da lui servita ed amata, contemplavamo i segni del Volto e delle sofferenze del Crocifisso impresse sulla Sindone che stavamo venerando.
«Amen. Vieni, Signore Gesù» (Ap 22,20): possiamo immaginare che questo grido, con il quale si conclude il Libro dell’Apocalisse e tutta la Bibbia, abbia chiuso l’esistenza terrena di Monsignor Cassone. Lui, il Cristo, viene, «viene dall’alto» (Gv 3,31), ci ha ricordato il Vangelo di oggi. Ed è per questo che – come medita Adrienne von Speyr – «nel linguaggio dello Spirito vita e morte hanno un significato inverso a quello che hanno nel linguaggio della carne. In quest’ultimo tutto incalza verso la morte, mentre nello Spirito tutto tende alla vita, perché Colui che è disceso è venuto per tutto elevare in alto»[4].

«Quale gioia quando mi dissero: “andremo alla casa del Signore”».
Carissimi fratelli e sorelle,
è questa pienezza di vita la gioia che il vescovo Andrea ora gusta. Il Salmo 122, in modo originale, mette assieme due verbi: un passato, «mi dissero»; un futuro, «andremo». Questo significa che la gioia di oggi è stata per lui attesa e preparata da una vita che ha creduto alla gioia del Signore e ha saputo andarle incontro nella fede, nella preghiera incessante, nella progressiva conformazione a Cristo: «Ora vivo nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il Signore nostro Gesù Cristo», scriveva ancora nel suo testamento spirituale.
Ma questo significa anche che oggi, “elevato in alto”, lui ricorda la gioia vissuta nella sua vita, ne capisce il senso e il valore e vuole certamente trasmettercela. È il messaggio che credo questa Eucaristia, e tutta l’esistenza di monsignor Cassone, ci lasci: ed è la preghiera che, sono certo, egli in modo più intimo e intenso eleva ora al Signore per tutti noi, in particolare per questa sua amata Chiesa di Rossano, cantando ormai in cielo il Salmo che ha accompagnato il suo cammino di fatica e di amore sulla terra:

«Quale gioia, quando mi dissero:“Andremo alla casa del Signore”.E ora i nostri piedi si fermanoalle tue porte, Gerusalemme!Per i miei fratelli e i miei amiciio dirò: “Su di te sia pace!”.Per la casa del Signore nostro Dio,chiederò per te il bene».
Sì, chiedi per noi questo bene, carissimo padre e fratello Andrea: Dio, il Bene unico che tu hai saputo cercare e che oggi hai trovato, in pienezza di Vita, nella gioia senza fine.
E così sia!
+ Santo Marcianò
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[1] Hans Urs von Balthasar, Il Credo. Meditazioni sul Credo Apostolico. Jaca Book, Milano 1990, p. 71
[2] Ibidem, n. 74
[3] Joseph Ratzinger, Omelia nella Messa esequiale per il defunto Romano Pontefice Giovanni Paolo II. Roma, 8 aprile 2005
[4] Adrienne von Speyr, Il Verbo si fa carne. San Giovanni, Esposizione contemplativa del suo Vangelo. Volume primo. Jaca Book, Milano 1982, p. 207

Ultimo aggiornamento ( Sabato 17 Aprile 2010 06:37 )