Da qualche giorno si è conclusa la Festa di San Rocco. La festa è finita , ma è ancora vivo il ricordo di tanti momenti carichi di emozione che l’intera comunità ha avuto modo di vivere affollando le SS.Messe e partecipando numerosi alla tradizionale processione . Senza dubbio alcuno questa festa assume per ogni scillese un significato particolare e personale che si aggiunge a quello collettivo della devozione ad un Santo venuto da lontano . Essa rappresenta un sorta di giro di boa dell’anno solare, passata la festa, si considera ultimato il periodo estivo per avvicinarsi alle sempre più brevi giornate autunnali e poi ai brumosi giorni invernali, in un susseguirsi di colori e sfumature senza pari, grazie ad una natura che, nonostante l’incuria e la prepotenza dell’uomo, sa ancora essere generosa con il nostro popolo.

Della festa appena trascorsa porto con me un momento particolare legato alla processione del sabato, quella che quest’anno ha subito una variazione del percorso per plausibili motivi di sicurezza, regalando oltre che qualche chilometro in più , la novità di un tragitto che rimarrà negli annali della festa. Questo momento , dicevo, l’ho vissuto quando di rientro dalla Marina Grande , trovandomi alla testa della processione, ero in Piazza Matrice, mi girai all’indietro e con un colpo d’occhio vidi l’intera processione snodarsi lungo la via sottostante , una folla variegata formata dagli scouts , e quindi a seguire le torce che avanzavano in maniera scomposta, chi isolata , chi in piccoli gruppi, e tutte le altre poco più avanti alla statua del santo, formavano un piccolo mare di luci, segni visibili di una preghiera esaudita lontana nel tempo e testimoniata dal passo malfermo di chi portava il cero appoggiato sulla spalla contagiata dalla camminata dondolante , e poi i portatori e la statua che sale lentamente a prezzo di uno sforzo umano silenzioso e generoso, anch’essi imprimono alla statua un ritmo caracollante che la rende del tutto simile a quelli che la precedono, e poi il parroco e la folla dei numerosi fedeli, tutti alle prese con uno dei tratti più impegnativi dell’intero percorso, alleviato dal ritmo cadenzato suonato dalla banda musicale. Tutto questo mi rimandava a qualcosa di cui avevo memoria , ma che non riuscivo a definire, come quando si incrocia una persona e non ci si ricorda dove e quando la si è incontrata, ma di questo si è certi senza ombra di dubbio. L’attimo seguente mi rigirai per avere conferma del pensiero che finalmente aveva preso forma , quella moltitudine aveva un nome ed il volto di ciascuno di noi : Chiesa.

Apparentemente senza guida riesce a percorrere le stesse strade degli uomini . Lo fa con uno stile tutto suo a volte solenne a volte dimesso , ed il suo passaggio genera sempre interrogativi sulla sua natura e sulla sua missione : non è come la si vorrebbe , ma è anche lì dove non la si vorrebbe. Lenta e pacata procede quasi immobile lungo i non facili sentieri dell’esistenza umana attardandosi con gli ultimi, accogliendo i lontani grazie al lavoro nascosto di tante anime che spendono la loro vita al servizio dell’umanità. Ha lo stesso volto dei suoi figli, dei quali condivide gioie e dolori, ciascuno di essi immagine unica ed irripetibile di un disegno divino. Essa stessa riflesso terreno della comunione celeste cammina senza indugio e tra mille difficoltà ,verso la meta finale portando con sé tutti i suoi figli .

La statura della santità San Rocco, che ormai fa parte della Chiesa trionfante, cioè di quella porzione di Chiesa che gode della visione beatifica di Dio, ha attraversato i secoli per giungere sino a noi non tanto per essere ricordata , quanto per essere rivissuta attingendo dalla pur scarsa biografia quei tratti che prima di farne un santo , ne fanno un cristiano. Il vissuto personale dei santi rappresenta per ciascuno di noi “ il possibile” , cioè , quello che loro hanno fatto può essere compiuto da ognuno di noi, non tanto replicando il gesto , perché finiremmo per essere come quelli che operano senza la carità descritti da San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, ma accogliendo con umiltà il messaggio profondo e semplice del loro operato. L’ episodio biografico di San Rocco che mi ha stimolato una riflessione , è quello relativo alla sua permanenza in carcere per cinque lunghi anni . In silenzio, in condizioni umane spaventose come potevano essere quelle di un carcere di fine ‘300. Non proferisce parola sul suo operato di carità ed accetta quell’ingiustizia che sarebbe cessata se solo avesse citato il nobile casato di appartenenza .

Una lezione di vita che arriva intatta fino ai nostri tempi dove non è raro incontrare personaggi di tutt’altra fama che invece di nascondersi volontariamente sbandierano le proprie malefatte , le quali, invece di essere motivo di vergogna , sono ostentate come status simbol e poste ad esempio per le giovani generazioni. E’ altresì frequente imbattersi in coloro che si identificano con il proprio , anche se lodevole, operato, diventando, secondo loro, essi stessi l’incarnazione di un valore e per questo intoccabili. Spesso alla mediocrità del proprio vissuto corrisponde un’esaltazione delle vicende personali veicolate attraverso il sistema mediatico ormai fuori controllo e che non risparmia niente e nessuno. Il protagonismo sempre e comunque è una mala pianta che cresce in ogni ambiente, frutto anch’essa di una ricerca spasmodica di approvazione che mal si concilia con lo spirito di servizio che una società complessa come la nostra ha bisogno di riscoprire nella sua più autentica generosità , ricordandosi che tutti siamo in ogni circostanza , e ad ogni livello, evangelicamente parlando dei “servi inutili”.

La vita di San Rocco è un compendio di virtù cristiane, per noi scillesi , che da secoli lo veneriamo come santo patrono può e deve diventare il modello principe a cui ispirare tutte le nostre azioni. Quelle di tutti. Per fermare quello stato di degrado nel quale , ormai neanche più tanto nascostamente , ci stiamo avviando.

Giovanni Bellantoni