Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
Modificato profondamente nella seconda metà del XIX secolo a causa dei lavori di costruzione della strada ferrata, l’ex complesso monastico dei Padri Crociferi vedeva ormai in piedi solo la chiesa e un atrio ad essa collegato. Entrambi subirono solo parziali danni dal terremoto del 1908, concentrati nella parte alta della struttura: tetto e cornicioni superiori. La chiesa venne sistemata alla meglio e, a causa di infiltrazioni ed incuria, per molti anni rimase inagibile tanto da utilizzare per le celebrazioni liturgiche in onore di San Giuseppe l’atrio antistante. Realizzato il tetto interamente in legno, le pareti vennero intonacate grossolanamente in cemento e vennero realizzate due finestre rettangolari nella parete di sinistra, mentre quella di destra era priva di aperture. Quasi totalmente priva di opere d’arte, a sinistra della navata, in una nicchia preesistente, venne realizzato un altarino utilizzando alcuni pezzi di quello che fu il coro ligneo della chiesa di San Rocco e sistemando al centro dello stesso una stampa raffigurante la Vergine Maria. A destra della navata, all’interno di una nicchia totalmente priva di elementi artistici, era collocata un’antica statua lignea raffigurante la Vergine del Carmine. Ai due lati dell’ingresso della zona absidale erano collocate due vetrine all’interno delle quali erano custodite due piccole statue: la Vergine Addolorata, che possiede l’abito in stoffa, e l’Ecce Homo, quest’ultimo opera del canonico scillese Ingegneri, entrambi verosimilmente risalenti al XVIII secolo. Il tetto era ricoperto, nella parte absidale, da un tavolato al di sopra del quale vi era un Crocifisso ligneo. Sullo sfondo vi si trovava l’altare maggiore, la cui parte sottostante, compreso il Tabernacolo, era stata realizzata in cemento e calce, risultando quindi di colore bianco, mentre la parte superiore era interamente in legno. La lavorazione di quest’ultima venne realizzata dal falegname scillese Rocco Paladino, detto “Mastranza”, e dal figlio primogenito, anch’esso di nome Rocco, mentre le decorazioni dall’artista scillese Serafino De Franco. La parte soprastante dell’altare maggiore rappresentava l’opera più importante della chiesa. Era composta da quattro vani laterali, due a destra e due a sinistra, separati da semicolonne e sormontati da angeli dipinti su sagoma lignea che reggevano dei festoni con scritte riguardanti la figura di San Giuseppe e al cui interno erano collocati altrettanti piccoli lampadari e, al di sotto, quattro lanterne luminose, il cui stile echeggiava il gotico, anch’esse in legno. Al centro vi era la nicchia principale che, a forma di cupoletta sormontata dalla croce, racchiudeva al suo interno un dipinto ovale raffigurante il santo Patriarca. La Mensa Eucaristica era in legno dipinta di giallo e alla sua sinistra, anch’essa in legno lavorato, vi era una vetrina all’interno della quale veniva riposta la statua di San Giuseppe terminati i festeggiamenti. Quasi del tutto priva di pavimento, erano visibili, in alcuni piccoli pezzi, le originali mattonelle in tufo. Nel 1996 iniziano i lavori di restauro e rifacimento artistico dell’interno dell’edificio. Questi, molto sapientemente, puntarono al recupero delle originarie forme architettoniche. Eliminando con cura gli strati di intonaco a cemento sovrapposti negli anni, comparvero le linee originarie, ossia archi e lesene in mattoni, intervallate da semi colonne anch’esse in mattoni che reggevano l’ormai scomparso cornicione che è stato, quindi, interamente rifatto in questa occasione. Nella parte destra della navata, prima totalmente murata, furono scoperte due finestrelle ovali contornate da mattoni e, sul disegno delle stesse, furono modificate le due finestre rettangolari della parete opposta. Nella parte alta della stessa parete venne scoperta una nicchia di piccole dimensioni e contornata da mattoni, all’interno della quale venne collocata una statua in cartapesta della Vergine Immacolata. Nell’atto di realizzare la nuova pavimentazione, vennero scoperti i resti di una preesistente chiesetta bizantina, molto probabilmente utilizzata successivamente come cripta della chiesa soprastante. Vennero ritrovati i resti mortali del sacerdote Giuseppe Bovi che, morto a causa dei crolli causati dal terremoto del 1783, chiese di essere sepolto all’interno della chiesa, confermando quanto il sapiente canonico Giovanni Minasi aveva lasciato nei suoi scritti. Venne ritrovato altresì l’antico stemma marmoreo dei Padri Crociferie dei pezzi di tufo lavorati sul modello dei quali venne realizzato il nuovo cornicione. Venne realizzato l’altare maggiore recuperando marmi antichi, in perfetto stile settecentesco, e alla sua sommità venne collocata la croce lignea che prima era posta sul tetto. A destra dello stesso venne realizzata una nicchia tufacea con base finemente lavorata dello stesso materiale, all’interno della quale è collocata la statua di San Giuseppe. Venne realizzata, in pietra di Modica e tufo, la Mensa Eucaristica. Questa, come paliotto principale, presenta un altorilievo raffigurante l’Annunciazione dell’Arcangelo Gabriele a Maria e, come paliotto posteriore, lo stemma dei padri crociferi anch’esso in tufo. Sul pavimento vennero realizzate tre aperture con lo scopo di fare ammirare la cripta sottostane mentre, a sinistra della navata, nel luogo dove furono rinvenuti, ricomposti all’interno di una bara di zinco, vennero collocati i resti del sacerdote Bovi, colui che, intorno alla prima metà del XVIII secolo, introdusse il culto al Santo Patriarca.
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