Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
Tante sono le opere d’arte che ornano le nostre bellissime chiese. Fra queste, senza dubbio, la più prestigiosa è la statua marmorea raffigurante San Rocco che sovrasta il maestoso altare maggiore dell’omonima chiesa. E’ tale in virtù del suo inestimabile valore artistico-culturale ed ovviamente affettivo. Intorno ad Essa ruotano diverse leggende che spesso si intrecciano con la storia reale. L’importanza artistico-culturale deriva innanzitutto dall’epoca a cui risale – tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo - in secondo luogo dalla sua città di provenienza - Venezia - ed infine dalla sua pregevole fattura. La statua marmorea di San Rocco fu la prima effige raffigurante il Santo pellegrino che ebbe Scilla. Il periodo a cavallo tra la fine del ’400 e l’inizio del ’500 vide la terra di Calabria - ed in particolar modo il Reggino - devastata dal morbo della peste. Scilla miracolosamente ne uscì indenne (come avvenne del resto anche nei secoli successivi) e i marinai scillesi che intrattenevano rapporti commerciali con Venezia vennero a conoscenza dell’esistenza di un Santo protettore contro la peste i cui resti mortali erano conservati proprio nella città veneta. Riconoscendo allora la particolare protezione esercitata da San Rocco nei confronti della loro città, gli scillesi decisero di introdurre il culto al Santo Pellegrino, elevandolo a patrono della città, in luogo di San Giorgio che lo era stato fino a quel momento e che ancor oggi dà il nome al quartiere principale. Grazie agli intensi rapporti con i veneziani, dovuti appunto all’attività commerciale, gli scillesi chiesero ed ottennero due reliquie del Santo tuttora conservate presso la sua chiesa, e portarono una bellissima scultura marmorea che lo raffigurava, di stile bizantino-veneziano. La statua poggia su un bassorilievo ad ornato ed entrambi sono di marmo pario greco a grana finissima. La statua è ad altezza naturale. Con la mano destra sorregge il bastone, mentre con la sinistra indica la piaga sanguinante. L’interno della tunica è dipinto di un verde intenso così come gli orli, mentre i capelli sono dorati. Alla sua sinistra è scolpito un angioletto che mostra il segno del morbo pestifero (il cane con il pane in bocca sarà rappresentato solo in epoca più recente) ed indossa una graziosa tunica con gli orli dorati così come dorati sono anche i suoi lunghi capelli. Della presenza di questa statua troviamo traccia tra gli scritti relativi alla prima visita pastorale di mons. Annibale D’Afflitto del 1594 durante la quale, tra le altre cose, visitava la chiesa di San Rocco con relativa confraternita. Scilla inoltre è l’unica città della vasta arcidiocesi Reggina-Bovese a possedere una statua di marmo raffigurante San Rocco, statua che non è presente neanche nei centri rientranti nella competenza di altre diocesi dove è particolarmente sentito il culto al Santo Romeo, come Palmi, Gioiosa Jonica, Acquaro o Cittannova. Attorno al suo arrivo a Scilla ruotano diverse leggende. Secondo una di queste, la statua venne portata insieme con quella sempre marmorea raffigurante l’Immacolata, e dopo aver collocato quest’ultima nel rione superiore (attuale chiesa di San Rocco ) e San Rocco in quello inferiore (attuale chiesa Matrice), li videro l’indomani in posizione invertita. Senza scoraggiarsi spostarono nuovamente le due statue per ben tre volte, ma dopo il terzo giorno, con stupore, capirono che San Rocco voleva rimanere nel quartiere alto, mentre l’Immacolata in piazza Matrice, ossia il punto di mezzo del Paese. Un’altra leggenda narra che, mentre trasportavano la statua, arrivati all’altezza dell’attuale tabacchino in piazza San Rocco, cadde il bastone (tutt’oggi il bastone della statua è in legno perché manca quello in marmo) ed in quel punto crebbe un grandissimo albero. Era talmente maestoso e verdeggiante che portava ombra al palazzo alle sue spalle di proprietà della famiglia Cimino la quale - infastidita dall’ombra - decise di tagliarlo. Sempre secondo la leggenda tutti i componenti di questa famiglia caddero in disgrazia e scomparvero da Scilla. Infine, un’altra legenda, che si intreccia però con la storia, è quella secondo la quale inizialmente la statua veniva portata in processione per le vie del paese. Questa tesi è suffragata dall’usura del piede sinistro causata dalle carezze dei fedeli. Sarebbe stato impossibile levigare il marmo se la statua fosse sempre stata collocata sull’altare maggiore…