Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
A destra del maestoso portone d’ingresso è collocato un quadro raffigurante un miracolo compiuto da Sant’Antonio da Padova. Il dipinto è un olio su tela è ha le stesse caratteristiche e misure del dipinto raffigurante San Giorgio. Anch’esso, infatti, venne realizzato nella prima metà del XVIII secolo dal pittore messinese Antonio Filocamo. L’opera apparteneva al convento dei Padri Osservanti distrutto dal terremoto del 1908 che sorgeva sul luogo oggi denominato via Orto Monaci, in omaggio alla loro antica presenza. E’ provvisto di cornice dipinta con la tecnica dell’argento meccato che, quasi del tutto lineare, presenta due decorazioni in altorilievo al centro dei due lati.La tela è mancante di pellicola pittorica nella parte inferiore a causa di infiltrazioni d’acqua e danni sismici avvenuti in passato. La scena si compie all’interno di una chiesa. Sullo sfondo, infatti, è ritratto un altare sormontato da un dipinto della Madonna con Bambino e arricchito da sei candelabri, tre per lato, con una Croce al centro e privi di candela. Sant’Antonio è ritratto al centro della scena. Con la mano sinistra regge una lampada votiva che si diparte, verosimilmente, dal tetto. Con l’indice della mano destra tocca l’occhio di una donna facendole riacquistare la vista. Un uomo regge la donna, mentre altri quattro pellegrini sono in attesa di ricevere una grazia. Questi sono sormontati da una figura femminile che ha le mani giunte ed è rivolta verso il dipinto della Vergine Maria. Infine, alle spalle di Sant’Antonio, è ritratto, a figura intera, un uomo anziano che con la mano sinistra aperta invita alla calma i pellegrini rivolti verso il Santo padovano.
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:15 )
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Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
Nella parete sinistra dell’abside è collocato un grande quadro raffigurante San Giorgio in venerazione della Vergine Immacolata. Il dipinto è un olio su tela. Di notevoli dimensioni, metri 1,75 per 2,50, venne realizzato nella prima metà del XVIII secolo dal pittore messinese Antonio Filocamo. L’opera apparteneva al convento dei Padri Osservanti distrutto dal terremoto del 1908 e dedicato proprio a San Giorgio che sorgeva sul luogo oggi denominato via Orto Monaci in ricordo della loro antica presenza. E’ provvisto di cornice dipinta con la tecnica dell’argento meccato che, quasi del tutto lineare, presenta due decorazioni in altorilievo al centro dei due lati. In basso, genuflesso, è ritratto San Giorgio. Indossa l’armatura e ha un mantello rosso legato al collo. Il braccio sinistro è allungato verso l’esterno e sullo stesso è adagiata la lancia. La mano destra è poggiata sul petto in segno di riverenza e venerazione nei confronti della Vergine Immacolata. La testa è rivolta verso l’alto. Privo di barba, è stato ritratto in un’età giovanile e con i capelli molto lunghi. A terra è ritratto l’elmo. Alla sua sinistra si intravede il cavallo bianco mentre sullo sfondo è ritratto un paesaggio collinare con al centro una piccola figura che sembrerebbe riprenda per caratteristiche l’immagine della Vergine Maria soprastante. Nella parte alta è ritratta la Vergine Maria in Gloria. Assisa tra le nubi, indossa una veste bianca ed un mantello azzurro.Le mani portate al petto sono giunte in segno di accoglienza. Il volto, dolce e materno, è rivolto verso il Santo cavaliere. Tutt’attorno una schiera di undici figure angeliche fanno da corona alla Vergine Maria. In basso a sinistra la firma e la data: “Ant.us Filocamo / messi.s Pinsit 1727 ”.
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:16 )
Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
Rocco, il “rosso”, come vorrebbe una diffusa etimologia del nome, poco plausibile però per i linguisti, è, o meglio fu, il pellegrino per eccellenza, ed anche il suo abbigliamento tramandato dagli artisti è rimasto tipico del pellegrino: cappello largo per riparare dalla pioggia e dal sole, mantello a mezza gamba, copri spalle detto proprio “sanrocchino” o “sarrocchino” e in mano il bordone, cioè il bastone con appesa la zucca per l’acqua. Sotto il mantello, in cintola, un Rosario dai grossi grani e, sul petto, simile ad un ornamento araldico, una conchiglia marina che era per il pellegrino l’indispensabile strumento per attingere l’acqua dalle pozze a fior di terra come dai fiumi impetuosi. Nel nostro paese oltre la statua in marmo posta sull’altare maggiore della chiesa ove si venera il Santo, esiste una bellissima scultura in legno, (mt. 1,68) raffigurante il Santo pellegrino. Databile quasi sicuramente intorno al secolo XVIII, si ignora però dove è stata realizzata e l’artista che la scolpì. Questa statua, a differenza della più antica in marmo, possiede sul lato destro un cagnolino, sulle spalle il cappello, ai fianchi la borraccia, il bastone in mano e, dietro la testa, l’aureola, tutti in argento. L’opera lignea rappresenta il Santo pellegrino in atteggiamento di lento procedere per terre e paesi a portare la sua assistenza alle genti colpite in quell’epoca dal flagello terribile della peste, il conforto materiale e spirituale che riflette l’altissimo messaggio delle opere di misericordia cristiana, il lenimento o l’eventuale guarigione del male orrendo che falcidiava corpi ed anime in quel terribile tragico evento. E’ senza dubbio una delle creazioni immortali di un’artista che doveva accoppiare alle doti del “mestiere” di scultore del legno, quelle più alte di una intensissima ispirazione poetica, sino al punto da coinvolgere l’immagine in una atmosfera trasognata e trasfigurata di altissima spiritualità mistico – contemplativa e religiosa. Il Santo mostra con l’indice della mano destra, sopra il ginocchio, il bubbone della peste, mentre il braccio sinistro alzato finisce con l’altra mano che impugna, nella parte alta, un bastone d’argento che sovrasta sensibilmente il capo ed il cerchio, anch’esso in argento, che lo aureola. La tunica di colore verde – cupo – scuro è contornata agli orli delle maniche e a quelli finali inferiori, di bordi dorati. Dalle maniche di detta tunica si intravedono però chiaramente quelle di una camicia di colore bianco giallino. Alla vita si vede una cintola con fibbia mettallica (argento). Una mantellina che arriva fino alla cintola, anch’essa agli orli contornata di bordi dorati, sullo spaccato del petto, lascia intravedere il retro della suddetta mantella di un verde più acceso. Sulla spalla, il braccio e l’avambraccio sinistri, c’è, cascante, un bellissimo mantello di colore rossastro anch’esso contornato dai bordi dorati che scivolando per il lato sinistro del dorso, rispuntando sul lato destro della statua, è agitato e gonfio evidentemente per lo spirar del vento. Sulla concezione artistica di detta opera poggia un intuito genialissimo che riesce a fondere mirabilmente il senso del peso corporeo, e quindi dei valori plastici di massa e volume, con il senso mistico contemplativo e religioso realizzato nella testa e nel volto, che peraltro a loro volta mantengono dei rapporti di volume proporzionati e fusi con quelli del resto del corpo. La testa eretta verso l’alto, con la bocca semi aperta e gli occhi fissi al Cielo, dà l’impressione di un’anima che s’innalza al di sopra delle cose terrene verso i cieli lontani ove rifulge la gloria di Dio Eterno ed Onnipotente. L’opera, quindi, per le proporzioni di tutte le parti che la compongono, per la fusione perfetta dei valori plastici, espressivi e spirituali, per l’intensità altissima dell’ispirazione che ha guidato la mano dell’artista, a nostro avviso, rappresenta pienamente un’armonica, originale ed organica realizzazione d’arte.
Francesco Burzomato(articolo tratto da “Insieme costruiamo la comunità”, mensile della comunità cristiana di Scilla dal 1983 al 2003, anno I – n°6-7 luglio-agosto 1984)
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:16 )
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