Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
Nell’altarino laterale in marmo, a destra della navata, nella chiesa dello Spirito Santo è collocato uno dei dipinti più belli che possediamo. Ritrae il giovane San Vito a figura intera. E’ un dipinto di fattura molto fine e dalle proporzioni perfette. Sembra strano che questo Santo sia caduto nel dimenticatoio. In passato, solo i santi verso i quali vi era una forte devozione avevano “diritto” ad un altarino nel quale, il giorno della loro memoria liturgica, veniva celebrata una messa a loro dedicata. Il perché di questa devozione è dovuto ai rapporti commerciali che all’epoca i marinai scillesi intrattenevano con i “colleghi” siciliani. Ed è proprio grazie a questi rapporti che gli scillesi importarono il culto verso questo santo siciliano. Vito nacque a Lilibeo, attuale Mazara del Vallo (Trapani), nel 285. Dopo essersi convertito al Cristianesimo, ne studiò la dottrina. Il padre, però, essendo senatore romano e quindi nemico dei Cristiani, lo fece arrestare e fustigare. Vito, quindi, durante la notte, assieme alla sua fedele nutrice Crescenzia e al suo precettore Modesto, riuscì a fuggire da Lilibeo, raggiungendo Regalbuto (Enna) dove i tre trovarono rifugio in una grotta vicino alla quale, successivamente, venne costruita una chiesa dai Padri Cappuccini. Fu qui che Vito ottenne dal Signore di compiere il primo miracolo ricomponendo le membra lacerate dai cani di un ragazzo e di un pastore. I prodigi continuarono anche dopo che Vito si trasferì in Lucania. Qui, guarì dall’epilessia una nobildonna della corte di Diocleziano. Quest’ultimo, però, ritenne che il prodigio era frutto di stregonerie e lo fece arrestare insieme con i suoi fidi servitori che ormai, per Vito, erano come dei genitori, sottoponendoli ad estenuanti torture. Vito, così come Crescenza e Modesto, morì il 15 giugno del 304 a soli 19 anni. I corpi dei tre vennero sepolti dapprima in una grotta del fiume Silaro, successivamente spostati in una chiesetta vicino ad Eboli ed infine traslati definitivamente in una chiesa della città di Mariano. Nel 1540 Regalbuto ricevette delle reliquie di San Vito: parte del cranio, un braccio ed un piede che tuttora sono custodite in una cappella della chiesa madre. Poiché un tempo la sua memoria liturgica coincideva con un’altra festa popolare che prevedeva balli e danze sfrenate e scomposte, queste presero il nome di “balli di San Vito”, definizione utilizzata anche per designare l’epilessia. Da sempre i dipinti e le statue sono pagine di catechesi da sfogliare. Pensiamo al post-Medio Evo, quando le cattedrali erano completamente affrescate con scene bibliche. Lo scopo era quello di far conoscere la Bibbia anche alle persone analfabete che allora rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione. Anche oggi bisogna gustare la bellezza delle opere d’arte sacra, perché dietro ciascun dipinto e ciascuna statua sono racchiusi secoli di storia e, soprattutto, esempi da imitare di veri e propri Eroi della Fede!
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:20 )
Del presente articolo è autore o curatore il dott. Rocco Panuccio, cultore di storia locale ed esperto in beni storico-artistici e culturali. Ogni riproduzione, anche parziale (citazione diretta), è vietata senza espressa autorizzazione ed ogni utilizzo di notizie (citazione indiretta) senza citarne la fonte costituisce condotta sleale e grave disonestà intellettuale.
La fama della santità di Francesco era quasi certamente giunta a Scilla quand’egli era ancora in vita. E’ possibile perfino che il Miracolo noto come l’attraversamento dello Stretto di Messina a bordo del mantello abbia avuto Scilla come punto di partenza, ipotesi suffragata dal fatto che destinazione del viaggio di Francesco e di un suo seguace doveva essere Milazzo, cosa che scoraggerebbe l’ipotesi di spiagge o porti calabresi più meridionali. Ad ogni modo, è storicamente accertato che non molti anni dopo la morte del Santo, a Scilla - come pala di un altare laterale della Chiesa arcipretale di Maria Ss. Immacolata - era già presente l’olio su tavola raffigurante il Santo, successivamente collocato nell’altare laterale dedicato a San Francesco nella chiesa dello Spirito Santo di Marina Grande ed attualmente custodito nella chiesa di San Rocco, in attesa di tornare a Marina. Tale notizia è rinvenibile negli archivi dell’Arcidiocesi reggina, come parte del resoconto che l’Arcivescovo del tempo D’Afflitto fece comporre in occasione della sua visita pastorale del 1594, all’interno del più antico documento oggi custodito negli archivi medesimi.
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:20 )
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La lunga vita terrena di San Francesco da Paola si snoda fra il 27 marzo 1416 e il 2 aprile 1507. Egli è tutt’oggi soprattutto noto e venerato come fondatore dell’Ordine religioso dei Minimi e grande taumaturgo nonché Patrono della sua terra di nascita, la Calabria, e della gente di mare di tutt’Italia. Il motivo principale di fama e devozione è, tuttavia, probabilmente la sua piena e completa identificazione con la virtù teologale dell’Amore-Carità: la Charitas che ha sempre contraddistinto la sua iconografia come una sorta di fuoco che ha incendiato d’amore cristiano il suo petto e continua ad incendiare quello dei suoi devoti in tutto il mondo. Ma una più attenta lettura della biografia del frate paolano ci consegna il ritratto di una personalità ricca di carismi e capace di parlare alla mente ed al cuore di persone diversissime per periodo storico, collocazione geografica e condizione economica o d’istruzione. La sua vita è indubbiamente costellata di eventi prodigiosi o, comunque, rari a verificarsi - a cominciare dalla sua nascita - ed è costantemente segnata da una sorta di parallelismo con quella del suo Santo eponimo e patrono: il Poverello d’Assisi. La singolarità della sua nascita è data dal fatto che i suoi genitori – entrambi dei cattolici molto pii – erano già in età avanzata quando invocarono dal Santo al quale erano più devoti – Francesco d’Assisi appunto – il dono della maternità e paternità: nato il primogenito, fu quindi spontaneo chiamarlo Francesco. Al futuro Santo seguirono, tuttavia, altri tre figli! La sofferenza fisica segnò già la prima infanzia del Paolano: contratta una grave infezione ad un occhio, i genitori invocarono nuovamente il San Francesco umbro, promettendogli che il piccolo avrebbe presto osservato il famulato, cioè un anno intero durante il quale avrebbe vissuto in un convento come un francescano, indossando l’abito dell’ordine. Rapidamente decorsa la malattia, a tredici anni Francesco narrò di un sogno nel corso del quale un frate francescano gli avrebbe ricordato di adempiere al voto contratto dai suoi genitori. Entrò quindi nel convento di San Marco Argentano, dove nel corso di un anno ebbe modo di farsi ammirare dai monaci per le straordinarie virtù cristiane dimostrate – considerata soprattutto la tenera età – ed anche per taluni eventi di tipo taumaturgico tanto che, concluso il famulato, i padri e i frati francescani l’avrebbero trattenuto con gioia. Ma Francesco, nonostante avesse già probabilmente preso la decisione di consacrare interamente la propria vita a Dio, era ancora desideroso di conoscere diverse modalità di vita dedita a Nostro Signore Gesù Cristo, prima di operare la scelta definitiva. Poco dopo il famulato visitò, con la famiglia, i principali luoghi della spiritualità cattolica italiana, comprese, ovviamente, Assisi e Roma. Quest’ultima lo impressionò negativamente per l’eccessivo lusso che vi vedeva ostentato – in un secolo nel quale la povertà era una realtà diffusa e tragica come, d’altra parte, lo è tutt’ora in altre parti del mondo – tanto che, a quanto pare, fece notare ad un cardinale lo stridore tra la sontuosità dei suoi abiti e l’opposto esempio fornitoci da Gesù. Rientrato a Paola, ancora adolescente affrontò da solo la prima esperienza di vita eremitica, suscitando l’ammirato stupore dei concittadini e, in breve tempo, il radunarsi attorno a lui di gruppi sempre crescenti di giovani che diedero così vita al primo nucleo di quella straordinaria e vitale esperienza che, riconosciuta nel 1474 da Papa Sisto IV come Congregazione eremitica paolana di San Francesco d'Assisi diverrà ben presto Ordine dei Minimi, giungendo ai nostri giorni con identico nome ed uguale vivacità spirituale e culturale. L’evoluzione dell’Ordine conoscerà, con Francesco ancora in vita, anche l’istituzione di un Second’Ordine, per le suore, e di un Terz’Ordine, per i laici, ancora attivi. La fama di santità di Francesco e l’esempio della spiritualità eremitica dei Minimi si diffusero rapidamente per tutta l’Italia meridionale e la Sicilia e, attraverso i mercanti e i viaggiatori del Regno di Napoli, anche per il resto d’Italia e per molte parti d’Europa. Proprio tale fama mosse il Re di Francia Luigi XI, che si era gravemente ammalato, a premere su Sisto IV e sul Re di Napoli Ferdinando I perché convincessero il Fondatore dell’Ordine paolano a recarsi a Parigi per ottenere da Dio la guarigione. La guarigione fisica non venne ottenuta, ma fu concesso al Sovrano di morire nella quiete dello spirito. Tra i frutti della missione francese di San Francesco vi furono anche il miglioramento dei rapporti fra Francia, Chiesa e Regno di Napoli e, quindi, un, sia pur parziale, contributo alla causa della pace in Europa, mentre la stima dei due immediati successori di Luigi XI trasformarono quella che doveva essere una missione temporanea in un soggiorno definitivo - durato dal 1483 alla morte, avvenuta a Tour ventiquattro anni dopo - nonostante l’ardente desiderio di Francesco di tornare in Calabria.
Ultimo aggiornamento ( Sabato 18 Novembre 2017 21:21 )
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